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Appena giunte le fotografie con i rilievi topografici,
cominciai a tracciare delle linee. Linee parallele, altre tra loro perpendicolari.
Le tre figure sul blocco squadrato sembravano guardare nella direzione in
cui io stesso stavo guardando. I segni dei picchetti, sorta di rilasci fossili,
verticali, straordinariamente rettilinei, sforzi di macchine e mani umane,
si incrociavano con le linee naturali delle stratificazioni. Uno straordinario
reticolo che mi ricordava dell'azione brutale sulla natura ma rimandava
comunque lontano, ad una sorta di alleanza di due possenti scultori.
Richiesi dal centro studi della Valpolicella alcuni testi. Osvaldo, che
seguiva sul luogo l'operazione, mi inviò decine di fotocopie che
illustravano l'antico lavoro del cavatore.
Ci recammo sul posto, a San Giorgio di Valpolicella; incontrammo alcuni
vecchi cavatori e ne registrammo i racconti, le lunghe notti nelle gallerie
illuminate dalle candele, i colpi ritmati dello scalpello sulla pietra,
il rullio dei cilindri sotto i massi tagliati, il luccichio degli occhi
attenti al consumarsi della miccia. "Mina" e un cavatore, urlando
per le strade del paese, avvertiva gli abitanti dell'imminente varata.
Ogni giorno, alle ore 18.00, venivano fatti brillare gli esplosivi per staccare
i blocchi dalla montagna. Quel cavatore che stava di fronte a me , la vedeva
la nuvola di polvere staccarsi lentamente dalla parete. Dalla parte della
sua montagna. E ne sentiva dolore; ma era il dolore di chi con l'aratro
stacca le zolle per preparare il campo alla semina.
Quello straordinario paesaggio che sembrava mutilato da un'azione all'apparenza
assurda dell'uomo, man mano che passava il tempo, sembrava fosse esso stesso
a deformarsi, a mostrarsi. Ad aprire le sue brecce. Per giorni interi leggemmo
su quelle enormi pareti istoriate, ideogrammi di una strana ed inconsueta
civiltà, di un mondo che ci sembrava di cogliere solo nella sua apparenza
minerale, inorganica: la pietra.
Certamente eravamo a conoscenza di una corrente di pensiero che affonda
le proprie radici nella biologia, nella fisica, nella scienza dei calcolatori
e nella matematica, per la quale la vita non è questione dei diversi
materiali dei quali siamo composti, bensì dell'organizzazione degli
elementi nel tempo e nello spazio, dell'interazione di rapporti e processi
dei quali questi elementi fanno parte. D'altra parte, l'intuizione immediata
e sostanziale che abbiamo della vita è che essa è caratteristica
della terra, è legata al bisogno di acqua e alla circolazione di
composti di carbonio.
Ed è certo che , benché sia difficile immaginare la vita in
mancanza dì acqua, nessuno sa con certezza se il carbonio e l'acqua
siano assolutamente indispensabili alla vita. Ma a noi non interessava sostenere
le tesi dell'esobiologia. Volevamo trovare un piano di comunicazione con
quella pietra, col corpo inorganico che ci sovrastava. Pian piano, cominciammo
a sentirci ricercatori.
Cava Preara sui sengi . S. Giorgio di Valpolicella . settembre 1996
L'équipe di ricerca dell'Istituto di Geologia di Parigi, diretta
dalla dottoressa Celine Didier, non avrebbe esitato a rimandare l'esperimento
a causa del vento che avrebbe potuto in qualsiasi momento alterare il
delicato equilibrio delle apparecchiature. Ma sul posto erano già
arrivati con un certo anticipo le autorità, seguite da stampa e
fotografo ufficiale, e il pubblico, in attesa in fondo al sentiero spianato
per raggiungere la cava, era già numeroso.
Era necessario far brillare una mina, affinché quel boato così
prepotentemente inscritto nella memoria degli abitanti della Valpolicella,
ristabilisse una relazione "naturale" tra le persone ed il luogo:
una cava a cielo aperto, in disuso da diversi anni, appena sopra il paese
di S. Giorgio di Valpolicella. La dottoressa stessa accompagnava i presenti
fino alla cava lungo il sentiero illuminato da torce. Circa 600 persone,
mantenute a distanza di sicurezza dal servizio d'ordine, raggiungevano
il luogo non sapendo precisamente di cosa si trattasse: teatro o esperimento
scientifico? (Il professor Bottom, direttore della ricerca e assente la
sera dell'esperimento dovendo presenziare ad una seduta di studio al Congresso
mondiale di protoarcheologia che si svolgeva in quegli stessi giorni a
Forlì, aveva dato precise delucidazioni in tal senso! E la dottoressa
Celine Didier aveva ampiamente chiarificato gli scopi dell'operazione
alla conferenza stampa tenutasi nella città di Verona).
La visione della cava dissolve ogni dubbio. Sulla destra, una grande tenda
da campo: punto d'appoggio e rimessa per tecnici e cavatori durante il
lavoro sul posto, durato quindici giorni, tra pioggia e vento. Più
avanti, alcuni cavatori, diretti dall'assistente della dottoressa, stanno
imbracando un enorme blocco di pietra appena distaccato dalla parete;
un derrick alto 5 metri servirà più tardi a sollevare il
masso dal quale verranno estratti alcuni campioni per l'analisi. In fondo
alla cava, un gruppo di scalpellini sta ancora lavorando ad alcune estrazioni
manuali. Stagliata sulla parete verticale, all'altezza di 6 metri, incredibilmente
rimpicciolita dalle dimensioni del luogo, una figura sembra predisporre
col piccone la sua strada .
Nella parte sinistra di questo anfiteatro naturale, un grande albero pietrificato,
sorta di fossile incastonato nella pietra.... Sempre sul lato sinistro,
questa volta all'ingresso della cava , un complesso apparato tecnico costituito
da una "stanza di percezione" trasparente, sollevata da terra,
con chiusura ermetica, collegata all'esterno con le apparecchiature di
rilevamento degli impulsi della materia e della loro successiva decodificazione.
Di fronte a questo cantiere di lavoro, in cui cavatori e tecnici svolgono
accuratamente le operazioni che precedono l'esperimento, la ricercatrice
in camice bianco si accinge a relazionare circa le motivazioni della ricerca,
le modalità di lavoro, i possibili risultati, gli ipotetici imprevisti.
Relazione della ricercatrice
La relazione è preceduta dall'intervento dell'Assessore alla Cultura
sulla natura del progetto. La dottoressa rivolge ringraziamenti ufficiali
all'Amministrazione che ha ospitato l'équipe di lavoro, consentito
lo svolgersi dell'operazione e risolto le difficoltà incontrate
durante il periodo di lavoro alla cava.
"Cercherò di spiegarvi in modo semplice i presupposti fondamentali
di questo primo esperimento al quale questa sera potrete assistere.
Voi sapete che la litosfera ovvero la crosta terrestre è composta
in buona parte da materiali silicei. Più del 90% in peso è
rappresentato da ossidi di silicio. Abbiamo verificato che alcuni conglomerati
silicei del giurassico, sottoposti all'azione combinata di pressione e
temperatura elevatissime, hanno subìto adattamenti strutturali
e mineralogici profondi. In particolare sono divenuti ricettacolo di microdiffusioni
di impurità; ossia sostanze estranee, quali arsenuro di gallio,
sono migrate all'interno del reticolo cristallino degli ossidi di silicio.
Siamo in presenza cioè di quel fenomeno che prende il nome di "drogaggio
del silicio", tecnica che è alla base della realizzazione
dei chips a lamina di silicio, ossia di quei microcircuiti integrati presenti
nelle memorie dei nostri computer moderni .
Dopo lunghe ricerche che abbiamo svolto in Europa, abbiamo scoperto, e
qui dobbiamo ringraziare il Prof. Luigi Petrosini dell'Istituto Superiore
di Fisica Applicata dell'Università di Trieste, che proprio in
alcune cave del territorio di S. Ambrogio, e in particolare in questa
cava chiamata Preara sui sengi, si sono realizzate macroscopicamente le
condizioni di cui ho parlato poco fa, da noi realizzate precedentemente
in laboratorio.
Da qui l'ipotesi sensata, che dovrà essere comprovata dall'esperimento
cui assisterete questa sera, in questo luogo, che la pietra possa essere
ricettacolo di memoria inorganica.
Ma se, da una parte, a noi sembra naturale e logico che psiche e coscienza,
e la memoria che le sostiene siano fenomeni che non risiedono nella materia
inerte, bensì nelle strutture biologiche, dall'altra, ci accompagna
l'interrogativo sul perché la vita sia accaduta mediante il carbonio,
piuttosto che mediante il silicio.
Noi sappiamo dalla biologia, come certi amminoacidi basici non ionizzati,
in presenza di purine, abbiano dato origine a molteplici combinazioni
capaci di portare alla vita.
D'altra parte, nel mondo inorganico è noto come forme allotropiche
di uno stesso elemento presentano tra loro caratteristiche assolutamente
distanti: è il caso proprio del carbonio che può essere
sotto forma di carbone, di grafite, e, se sottoposto a pressione molto
elevata, diventa diamante.
Ma la relazione tra inorganico e biologico è molto complessa e
non si può affrontare qui, soprattutto in piedi. Chiudo questa
parentesi e arrivo direttamente al nostro esperimento.
Dunque, se la pietra può essere ricettacolo di memoria inorganica,
come dicevo, a partire da questo noi abbiamo costruito un apparecchio
in grado di rivelare particolari concentrazioni di silicio presenti nella
roccia, successivamente di leggerne i segnali, ovvero le informazioni
che essa può contenere. In altre parole, la macchina è in
grado di intercettare i segnali e decodificarli in un idioma sufficientemente
comprensibile.
Naturalmente, il controllo completo sulla situazione sperimentale sarebbe
possibile solo nelle seguenti condizioni:
1 se si conoscessero tutti i fattori da cui può dipendere il fenomeno
che stiamo studiando; cioè se noi fossimo in possesso di una teoria
definitiva del fenomeno indagato;
2 se fosse possibile realizzare l'isolamento assoluto del sistema che
stiamo studiando dall'influenza di questi fattori.
Ora il teorico è necessario e inutile, e la ragione lavora per
esaurire se stessa, alla ricerca di un sapere positivo in cui si riposa
e nello stesso tempo si porta ad una estremità che costituisce
arresto e chiusura. Noi dobbiamo passare attraverso questo sapere e dimenticarlo.
Ma l'oblio non è secondario. E' l'improvviso venir meno di ciò
che si è ricostituito in ricordo".
Al termine della relazione la dottoressa invita i presenti ad un rigoroso
silenzio per procedere all'esperimento. Il servizio d'ordine consente
un maggiore avvicinamento del pubblico. I cavatori, terminata l'imbracatura
dell'enorme blocco di pietra, procedono al suo agganciamento al derrick
.
E' necessario modificare la posizione del blocco per consentire un più
agevole prelievo dei campioni di pietra, nei punti precedentemente individuati
dalla ricercatrice. Il derrick solleva lentamente il masso di pietra;
i cavatori predispongono in giusta posizione le travi di appoggio.
Noi ricercatori sappiamo molto bene che la gente del luogo conosce le
operazioni che si svolgono nelle cave, ed è per questo che mettiamo
estrema attenzione nel compierle, come se ci appartenessero. Allo stesso
modo, sappiamo che per la maggior parte dei presenti è un privilegio
assistere ad operazioni di questo genere, in quanto nelle cave è
rigorosamente vietato l'accesso ai non addetti ai lavori, ad accezione,
ma soltanto nel tempo passato, delle donne, che durante la pausa portavano
il cibo ai cavatori.
Un prelievo viene trasportato alla macchina, sollevato e depositato nella
cella, richiusa ermeticamente. Ora è la dottoressa ad innescare
progressivamente i collegamenti della cella con le apparecchiature.
Il monitor registra i segnali percettivi provenienti dalla pietra; le
apparecchiature reagiscono ai segnali provenienti dall'interno della cella.
I segnali che il monitor riceve vengono proiettati sulla parete verticale
della cava stessa. Il luogo, illuminato fino ad allora dai fuochi intorno
alle postazioni di lavoro, pare assumere una luce propria: la materia
comincia a raccontare di sé e a rivelarsi attraverso i segni delle
stratificazioni.
L'esperimento viene turbato dalla voce degli scalpellini ancora in lavorazione
intorno al grande masso di pietra. Dalla roccia inerte comincia a fuoriuscire
lentamente qualcosa di organico; altri richiami avvertono che lo stesso
fenomeno si sta verificando in altri punti della cava. Per la dottoressa
Celine è ora difficile continuare a percorrere le fasi fissate
in anticipo; confusa ma cosciente, partecipa di quanto sta avvenendo.
Questa materia segue un tracciato nella cava che pare voglia ricongiungersi
alla parete stessa. L'occhio segue finché è possibile. Fino
al silenzio.
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